E' OBBLIGATORIO CONTINUARE AD ASSISTERE L'EX
CONVIVENTE AL TERMINE DELLA RELAZIONE?
Con la recente ordinanza n. 28 del 2 gennaio 2025, la Prima sezione civile della Cassazione affronta il tema della solidarietà tra ex conviventi more uxorio dopo la cessazione della loro relazione.
1. Fatti di causa
Nel caso di specie, un fratello unilaterale conveniva in giudizio il fratello maggiore unilaterale, ossia generato dallo stesso padre ma da madre diversa, chiedendo il rimborso delle spese sostenute a decorrere dal 2006 dalla madre per i bisogni alimentari e le necessità di assistenza del loro comune padre, dopo la fine dell’unione di fatto tra i genitori. La madre aveva contribuito economicamente al sostentamento e alle necessità di assistenza del padre, mettendogli anche a disposizione la propria casa di campagna. L’attore chiedeva inoltre che fosse accertato che dal 2012 entrambi i figli (e quindi anche il fratello) dovevano essere considerati coobbligati al mantenimento del padre, con conseguente condanna, per il periodo decorrente da tale anno, al rimborso della metà delle spese a tale titolo sostenute, deducendo che le spese stesse erano state pagate fino al dicembre del 2016 dalla madre dell'attore e, successivamente a detto periodo, dall'attore stesso.
Il convenuto, ovvero il fratello maggiore unilaterale, si costituiva chiedendo il rigetto delle domande attoree. Il Tribunale di Milano, con sentenza emessa in data 9 giugno 2022 ex art. 281-sexies c. p. c., in parziale accoglimento delle domande attoree, accertava solo l'obbligo in capo al fratello maggiore di provvedere al pagamento, nella misura del 50%, delle spese di ricovero del padre in una struttura RSA.
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 2725/2023, accoglieva parzialmente l’appello proposto, accertava che per il periodo successivo al 2016 entrambi i figli erano coobbligati al mantenimento del padre e condannava pertanto il fratello maggiore al rimborso del 50% di quanto corrisposto dal novembre 2016 fino alla data della sentenza di secondo grado per le spese di degenza in ogni RSA presso cui era stato ospitato il padre comune. La Corte d’Appello confermava per il resto la sentenza impugnata e compensava le spese di lite.
2. Conclusioni della Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto corretta la soluzione adottata dalla Corte territoriale, che ha ricondotto nell’alveo dei doveri sociali e morali, in rapporto alla valutazione corrente nella società, quello solidaristico nei confronti dell’ex convivente more uxorio, ravvisato, cioè, sussistente e meritevole di tutela anche nel periodo successivo alla cessazione del rapporto, avuto riguardo alla specificità del caso concreto.
Di seguito i principi affermati:
- anzitutto ha ribadito come la sussistenza dell'obbligazione naturale ex art. 2034, comma 1, c.c., postula una doppia indagine finalizzata ad accertare se ricorra un dovere morale o sociale in rapporto alla valutazione corrente nella società, e se tale dovere sia stato spontaneamente adempiuto con una prestazione avente carattere di proporzionalità ed adeguatezza in relazione a tutte le circostanze del caso.
- inoltre la Corte ha chiarito che le unioni di fatto, quali formazioni sociali che presentano significative analogie con la famiglia formatasi nell'ambito di un legame matrimoniale, assumono rilievo ai sensi dell'art. 2 Cost. e sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale da ciascun convivente nei confronti dell'altro, doveri che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniale, sicchè le attribuzioni finanziarie a favore del convivente more uxorio adottate nel corso del rapporto per fare fronte alle esigenze della famiglia configurano l'adempimento di un'obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. a condizione che siano rispettati i principi di proporzionalità ed adeguatezza, per la cui valutazione occorre tenere conto di tutte le circostanze fattuali, oltre che dell'entità del patrimonio e delle condizioni sociali del solvens.
Ciò considerato, il Collegio ha ritenuto corretta la soluzione adottata dalla Corte territoriale, che ha ritenuto di poter ricondurre nell'alveo dei doveri sociali e morali, in rapporto alla valutazione corrente nella società, quello solidaristico nei confronti dell'ex-convivente more uxorio, ravvisato, cioè, sussistente e meritevole di tutela anche nel periodo successivo alla cessazione del rapporto, avuto riguardo alla specificità del caso concreto.
Secondo la Corte, infatti, le convivenze di fatto sono un diffuso fenomeno sociale, anche se di origine relativamente recente, poiché dai dati statistici risulta la "moltiplicazione delle unioni libere", che ormai sopravanzano, in numero, le famiglie fondate sul matrimonio.
L'affermarsi di una concezione pluralistica della famiglia, dapprima nella società e quindi nella giurisprudenza, grazie anche all'impulso dato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (sentenza 21 luglio 2015, Oliari e altri contro Italia), ha trovato un approdo legislativo nella legge n. 76 del 2016, che in un unico e lungo articolo, suddiviso in 69 commi, contempla due modelli distinti: il primo, quello dell'unione civile, cui sono dedicati i primi 35 commi, è riservato alle coppie formate da persone dello stesso sesso; il secondo, quello della convivenza di fatto, è aperto a tutte le coppie, eterosessuali e omosessuali. Quanto al secondo modello (la convivenza di fatto), la legge n. 76 del 2016 abbandona la rigida alternativa tra tutela, o no, parametrata a quella riservata alla famiglia fondata sul matrimonio e valorizza l'esigenza di speciale regolamentazione dei singoli rapporti, siano essi quelli che vedono coinvolti i conviventi tra di loro, ovvero quelli tra genitori e figli o che si sviluppano con i terzi (così la sentenza citata n.148/2024).
La convivenza di fatto, trovando copertura di rango costituzionale nell'art. 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo nelle "formazioni sociali" ove si svolge la sua personalità, esige una tutela che si affianca a quella che l'art. 29, primo comma, Cost. riserva alla "famiglia come società naturale fondata sul matrimonio"
Sulla base di ciò, pertanto, secondo la Corte di Cassazione deve trarsi la conclusione che il dovere morale e sociale di assistenza materiale nei confronti dell'ex convivente more uxorio, anche dopo la cessazione del rapporto, si ponga in linea coerente e conforme "alla valutazione corrente nella società" (cfr. Cass. 19578/2016 citata), stante l'affermarsi di una concezione pluralistica della famiglia, e sia pertanto idoneo a configurarsi come obbligazione naturale, nella ricorrenza anche degli altri requisiti previsti dall'art.2034 c.c. (spontaneità, adeguatezza e proporzionalità) e avuto riguardo alla specificità del caso concreto.
Articolo di: Avv. Claudia Venturino - soggetto a copyright.
1. Fatti di causa
Nel caso di specie, un fratello unilaterale conveniva in giudizio il fratello maggiore unilaterale, ossia generato dallo stesso padre ma da madre diversa, chiedendo il rimborso delle spese sostenute a decorrere dal 2006 dalla madre per i bisogni alimentari e le necessità di assistenza del loro comune padre, dopo la fine dell’unione di fatto tra i genitori. La madre aveva contribuito economicamente al sostentamento e alle necessità di assistenza del padre, mettendogli anche a disposizione la propria casa di campagna. L’attore chiedeva inoltre che fosse accertato che dal 2012 entrambi i figli (e quindi anche il fratello) dovevano essere considerati coobbligati al mantenimento del padre, con conseguente condanna, per il periodo decorrente da tale anno, al rimborso della metà delle spese a tale titolo sostenute, deducendo che le spese stesse erano state pagate fino al dicembre del 2016 dalla madre dell'attore e, successivamente a detto periodo, dall'attore stesso.
Il convenuto, ovvero il fratello maggiore unilaterale, si costituiva chiedendo il rigetto delle domande attoree. Il Tribunale di Milano, con sentenza emessa in data 9 giugno 2022 ex art. 281-sexies c. p. c., in parziale accoglimento delle domande attoree, accertava solo l'obbligo in capo al fratello maggiore di provvedere al pagamento, nella misura del 50%, delle spese di ricovero del padre in una struttura RSA.
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 2725/2023, accoglieva parzialmente l’appello proposto, accertava che per il periodo successivo al 2016 entrambi i figli erano coobbligati al mantenimento del padre e condannava pertanto il fratello maggiore al rimborso del 50% di quanto corrisposto dal novembre 2016 fino alla data della sentenza di secondo grado per le spese di degenza in ogni RSA presso cui era stato ospitato il padre comune. La Corte d’Appello confermava per il resto la sentenza impugnata e compensava le spese di lite.
2. Conclusioni della Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto corretta la soluzione adottata dalla Corte territoriale, che ha ricondotto nell’alveo dei doveri sociali e morali, in rapporto alla valutazione corrente nella società, quello solidaristico nei confronti dell’ex convivente more uxorio, ravvisato, cioè, sussistente e meritevole di tutela anche nel periodo successivo alla cessazione del rapporto, avuto riguardo alla specificità del caso concreto.
Di seguito i principi affermati:
- anzitutto ha ribadito come la sussistenza dell'obbligazione naturale ex art. 2034, comma 1, c.c., postula una doppia indagine finalizzata ad accertare se ricorra un dovere morale o sociale in rapporto alla valutazione corrente nella società, e se tale dovere sia stato spontaneamente adempiuto con una prestazione avente carattere di proporzionalità ed adeguatezza in relazione a tutte le circostanze del caso.
- inoltre la Corte ha chiarito che le unioni di fatto, quali formazioni sociali che presentano significative analogie con la famiglia formatasi nell'ambito di un legame matrimoniale, assumono rilievo ai sensi dell'art. 2 Cost. e sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale da ciascun convivente nei confronti dell'altro, doveri che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniale, sicchè le attribuzioni finanziarie a favore del convivente more uxorio adottate nel corso del rapporto per fare fronte alle esigenze della famiglia configurano l'adempimento di un'obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. a condizione che siano rispettati i principi di proporzionalità ed adeguatezza, per la cui valutazione occorre tenere conto di tutte le circostanze fattuali, oltre che dell'entità del patrimonio e delle condizioni sociali del solvens.
Ciò considerato, il Collegio ha ritenuto corretta la soluzione adottata dalla Corte territoriale, che ha ritenuto di poter ricondurre nell'alveo dei doveri sociali e morali, in rapporto alla valutazione corrente nella società, quello solidaristico nei confronti dell'ex-convivente more uxorio, ravvisato, cioè, sussistente e meritevole di tutela anche nel periodo successivo alla cessazione del rapporto, avuto riguardo alla specificità del caso concreto.
Secondo la Corte, infatti, le convivenze di fatto sono un diffuso fenomeno sociale, anche se di origine relativamente recente, poiché dai dati statistici risulta la "moltiplicazione delle unioni libere", che ormai sopravanzano, in numero, le famiglie fondate sul matrimonio.
L'affermarsi di una concezione pluralistica della famiglia, dapprima nella società e quindi nella giurisprudenza, grazie anche all'impulso dato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (sentenza 21 luglio 2015, Oliari e altri contro Italia), ha trovato un approdo legislativo nella legge n. 76 del 2016, che in un unico e lungo articolo, suddiviso in 69 commi, contempla due modelli distinti: il primo, quello dell'unione civile, cui sono dedicati i primi 35 commi, è riservato alle coppie formate da persone dello stesso sesso; il secondo, quello della convivenza di fatto, è aperto a tutte le coppie, eterosessuali e omosessuali. Quanto al secondo modello (la convivenza di fatto), la legge n. 76 del 2016 abbandona la rigida alternativa tra tutela, o no, parametrata a quella riservata alla famiglia fondata sul matrimonio e valorizza l'esigenza di speciale regolamentazione dei singoli rapporti, siano essi quelli che vedono coinvolti i conviventi tra di loro, ovvero quelli tra genitori e figli o che si sviluppano con i terzi (così la sentenza citata n.148/2024).
La convivenza di fatto, trovando copertura di rango costituzionale nell'art. 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo nelle "formazioni sociali" ove si svolge la sua personalità, esige una tutela che si affianca a quella che l'art. 29, primo comma, Cost. riserva alla "famiglia come società naturale fondata sul matrimonio"
Sulla base di ciò, pertanto, secondo la Corte di Cassazione deve trarsi la conclusione che il dovere morale e sociale di assistenza materiale nei confronti dell'ex convivente more uxorio, anche dopo la cessazione del rapporto, si ponga in linea coerente e conforme "alla valutazione corrente nella società" (cfr. Cass. 19578/2016 citata), stante l'affermarsi di una concezione pluralistica della famiglia, e sia pertanto idoneo a configurarsi come obbligazione naturale, nella ricorrenza anche degli altri requisiti previsti dall'art.2034 c.c. (spontaneità, adeguatezza e proporzionalità) e avuto riguardo alla specificità del caso concreto.
Articolo di: Avv. Claudia Venturino - soggetto a copyright.
Morte dell’unico socio di s.r.l. unipersonale:
profili societari e successori
E’ possibile sia per S.p.a. che per le S.r.l. avere un unico socio senza che questo rappresenti un aspetto patologico per la società. Invero, La s.r.l. unipersonale può essere costituita sin dall’inizio come società con unico socio (art. 2463 c.c.) oppure può accadere che nel corso della vita tutte le partecipazioni si concentrino nelle mani di un’unica persona (art. 2462 c.c.).
Ciò posto, una domanda da porsi è sicuramente che cosa accade qualora muoia l’unico socio della società unipersonale.
In questo caso, gli scenari possibili sono due:
Anzitutto si apre la successione ereditaria legittima o testamentaria.
E’ un momento importante, perché incide sul mantenimento dell’unipersonalità della s.r.l. la circostanza che l’intera partecipazione societaria sia assegnata a un solo erede o a un solo legatario oppure a più eredi o più legatari in comunione indivisa. Gli scenari che si possono prospettare sono quindi 2, ovvero:
A) Se la partecipazione societaria della s.r.l. è attribuita a un solo chiamato all’eredità questi può accettare l’intera eredità e subentrare nella medesima quota del socio defunto, se, invece, l’eredità viene devoluta per legato a un legatario questi può trattenere il legato, che si acquista ipso iure al momento dell’apertura della successione senza l’accettazione dell’eredità.In ogni caso di subentro nella quota dell’unico socio per successione a titolo universale o particolare deve essere data pubblicità nel registro delle imprese come previsto dall’art. 2470, comma 1, c.c. e ciò per evitare di incorrere nella responsabilità illimitata anche se sussidiaria per le obbligazioni sociali, giacché senza il detto adempimento il trasferimento non è opponibile alla società e ai terzi.
B) Nel caso in cui l’unico socio muore lasciando la partecipazione a più eredi l’intera partecipazione sociale cade in comunione ereditaria, si tratta di comproprietà indivisa tra gli eredi del socio defunto e i diritti sulla quota spettano a ciascun erede secondo le quote ereditarie di ciascuno. In tal caso i diritti relativi alla quota come l’esercizio del diritto di voto in assemblea, il diritto di impugnare le delibere assembleari, ecc. devono essere esercitati secondo l’art. 2468, 5 comma, c.c. da un rappresentante comune nominato secondo le modalità previste dagli artt. 1105 e 1106 c.c. che rappresenti congiuntamente la pluralità dei comproprietari dell’intera quota.La figura del rappresentante comune viene meno in caso di divisione dell’intera quota tra gli eredi, in quanto gli eredi con la divisione della intera partecipazione sociale diventano soci ciascuno per una determinata quota della società stabilita sulla base delle quote ereditarie, anche in tal caso è necessario pubblicizzarlo con la comunicazione nel registro delle imprese ai sensi dell’ art 2250, 4 comma, c.c. e la s.r.l. perde la dicitura di società “unipersonale” senza che sia necessario modificare lo statuto alla stregua di quanto avviene quando si passa da società con più soci a società con unico socio.
Se gli eredi dell’unico socio defunto non vogliono nominare il rappresentante comune possono procedere allo scioglimento della comunione ereditaria sulla quota sociale con un apposito atto di divisione e intestarsi ciascuno la singola partecipazione della società instaurando la pluralità della compagine sociale.
Articolo di: Avv. Claudia Venturino - soggetto a copyright.
Ciò posto, una domanda da porsi è sicuramente che cosa accade qualora muoia l’unico socio della società unipersonale.
In questo caso, gli scenari possibili sono due:
Anzitutto si apre la successione ereditaria legittima o testamentaria.
E’ un momento importante, perché incide sul mantenimento dell’unipersonalità della s.r.l. la circostanza che l’intera partecipazione societaria sia assegnata a un solo erede o a un solo legatario oppure a più eredi o più legatari in comunione indivisa. Gli scenari che si possono prospettare sono quindi 2, ovvero:
A) Se la partecipazione societaria della s.r.l. è attribuita a un solo chiamato all’eredità questi può accettare l’intera eredità e subentrare nella medesima quota del socio defunto, se, invece, l’eredità viene devoluta per legato a un legatario questi può trattenere il legato, che si acquista ipso iure al momento dell’apertura della successione senza l’accettazione dell’eredità.In ogni caso di subentro nella quota dell’unico socio per successione a titolo universale o particolare deve essere data pubblicità nel registro delle imprese come previsto dall’art. 2470, comma 1, c.c. e ciò per evitare di incorrere nella responsabilità illimitata anche se sussidiaria per le obbligazioni sociali, giacché senza il detto adempimento il trasferimento non è opponibile alla società e ai terzi.
B) Nel caso in cui l’unico socio muore lasciando la partecipazione a più eredi l’intera partecipazione sociale cade in comunione ereditaria, si tratta di comproprietà indivisa tra gli eredi del socio defunto e i diritti sulla quota spettano a ciascun erede secondo le quote ereditarie di ciascuno. In tal caso i diritti relativi alla quota come l’esercizio del diritto di voto in assemblea, il diritto di impugnare le delibere assembleari, ecc. devono essere esercitati secondo l’art. 2468, 5 comma, c.c. da un rappresentante comune nominato secondo le modalità previste dagli artt. 1105 e 1106 c.c. che rappresenti congiuntamente la pluralità dei comproprietari dell’intera quota.La figura del rappresentante comune viene meno in caso di divisione dell’intera quota tra gli eredi, in quanto gli eredi con la divisione della intera partecipazione sociale diventano soci ciascuno per una determinata quota della società stabilita sulla base delle quote ereditarie, anche in tal caso è necessario pubblicizzarlo con la comunicazione nel registro delle imprese ai sensi dell’ art 2250, 4 comma, c.c. e la s.r.l. perde la dicitura di società “unipersonale” senza che sia necessario modificare lo statuto alla stregua di quanto avviene quando si passa da società con più soci a società con unico socio.
Se gli eredi dell’unico socio defunto non vogliono nominare il rappresentante comune possono procedere allo scioglimento della comunione ereditaria sulla quota sociale con un apposito atto di divisione e intestarsi ciascuno la singola partecipazione della società instaurando la pluralità della compagine sociale.
Articolo di: Avv. Claudia Venturino - soggetto a copyright.
POSSO IMPORRE L'INDIRIZZO SCOLASTICO DELLA
SCUOLA MEDIA A MIO FIGLIO?

#Articolo di: Avv. Claudia Venturino - soggetto a copyright.
Ai sensi dell’art. 316 cc entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che è
esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali
e delle aspirazioni del figlio.
Nel caso in cui si verifichino contrasti su questioni di particolare importanza, come
per l’appunto la scelta dell'istituto scolastico e quindi uno dei due genitori non sia
d’accordo con la scelta dell’indirizzo scolastico del figlio, lo stesso ha il diritto di rivolgersi
al giudice per ottenere una decisione che tuteli il migliore interesse del minore e
impedisca un blocco decisionale che potrebbe nuocere al benessere del minore
stesso.
Il Giudice cercherà inizialmente una decisione concordata sentiti i coniugi e il figlio di
anni 12 o di età inferiore qualora capace di discernimento e, solo in seguito, qualora
non fosse possibile raggiungere un accordo, adotterà allora la soluzione ritenuta più
idonea per il bene del minore.
può rivolgersi al giudice per trovare la soluzione migliore, dopo aver ascoltato anche il figlio.
Nel caso invece di accordo tra i genitori, la questione è destinata a rimanere all’interno
dei rapporti familiari, a meno che non sia il figlio stesso a manifestare il proprio malessere a
un soggetto tenuto a segnalare la situazione di pregiudizio del minore.
difficilmente i genitori possono rifiutarsi di esaudire il desiderio del proprio figlio di
frequentare una determinata scuola se economicamente sostenibile.
quest’ultimi avranno il pieno diritto di scegliere la scuola media del minore anche se
lo stesso è in disaccordo.
Si ricorda infatti che ai sensi dell’art. 26 della Dichiarazione universale dei diritti
umani “I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da
impartire ai loro figli” e che anche la giurisprudenza ha ribadito come l’opinione del
minore nella scelta scolastica sia importante, ma non dirimente.
In particolare il Tribunale di Roma con decreto del 20 gennaio del 2017 ha
chiaramente affermato che “l’immaturità del minore fa ritenere che lo stesso non
abbia le necessarie categorie e conoscenze per valutare la qualità dell’offerta
formativa, dell’impostazione didattica e culturale dei diversi istituti, capacità
riconosciute dall’ordinamento scolastico ai soli genitori chiamati a sottoscrivere la
scheda di iscrizione che non prevede la sottoscrizione del minore”
Quindi i genitori potranno scegliere in luogo del minore, anche se comunque tenendo
sempre prioritariamente conto delle aspirazioni e delle inclinazioni naturali del figlio
stesso.
Esiste il diritto di ripensamento per il titolare di
un'autofficina?

Mi viene chiesto:
“Sono titolare di una Autofficina. Ho da ultimo acquistato degli pneumatici su un sito di vendite all’asta
online. Tali pneumatici li ho però acquistati per una mia autovettura personale. Vorrei sapere se posso
considerarmi legittimato ad esercitare il “diritto di ripensamento” nei 14 giorni dall’acquisto?
Il quesito impone di verificare se il Cliente possa considerarsi consumatore, al fine di potere applicare la
normativa di settore. Nello specifico, se si è provveduto ad acquistare online come professionista, ovvero
utilizzando la propria partita iva, non si applicano le norme del Codice del Consumo.
È infatti necessario che la vendita sia avvenuta tra un privato ed un soggetto professionista per rientrare
nell’alveo della tutela dei consumatori. In caso contrario, infatti, si tratterebbe di una mera operazione
commerciale tra due privati o tra due professionisti, con conseguente esclusione della possibilità di
usufruire del diritto di ripensamento.
Nel caso specifico descritto, però, il cliente finale, nonostante titolare di un’autofficina, ha acquistato gli
pneumatici per proprio uso personale.
Tale circostanza è dirimente, in quanto, da ultimo, la giurisprudenza ha chiarito che ai fini dell'assunzione
della veste di consumatore l'elemento significativo è lo scopo avuto di mira dal cliente nel momento in cui
conclude il contratto, con la conseguenza che la stessa persona fisica svolgente attività imprenditoriale o
professionale deve comunque considerarsi consumatore se ha provveduto a concludere un contratto per la
soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di dette attività professionali (cfr. Cass.
civ. n. 6578/2021).
Sul punto, addirittura, la stessa Corte di cassazione ha precisato che nemmeno l’inserimento, nelle
indicazioni delle proprie generalità, della partita IVA, può assumere rilievo decisivo al fine di escludere la
qualifica del cliente come consumatore finale.
Ciò considerato, pertanto, se l’acquisto è stato realmente eseguito per uso personale, è fatto salvo il diritto
al ripensamento con possibilità di recesso entro i 14 giorni successivi all’acquisto online.
“Sono titolare di una Autofficina. Ho da ultimo acquistato degli pneumatici su un sito di vendite all’asta
online. Tali pneumatici li ho però acquistati per una mia autovettura personale. Vorrei sapere se posso
considerarmi legittimato ad esercitare il “diritto di ripensamento” nei 14 giorni dall’acquisto?
Il quesito impone di verificare se il Cliente possa considerarsi consumatore, al fine di potere applicare la
normativa di settore. Nello specifico, se si è provveduto ad acquistare online come professionista, ovvero
utilizzando la propria partita iva, non si applicano le norme del Codice del Consumo.
È infatti necessario che la vendita sia avvenuta tra un privato ed un soggetto professionista per rientrare
nell’alveo della tutela dei consumatori. In caso contrario, infatti, si tratterebbe di una mera operazione
commerciale tra due privati o tra due professionisti, con conseguente esclusione della possibilità di
usufruire del diritto di ripensamento.
Nel caso specifico descritto, però, il cliente finale, nonostante titolare di un’autofficina, ha acquistato gli
pneumatici per proprio uso personale.
Tale circostanza è dirimente, in quanto, da ultimo, la giurisprudenza ha chiarito che ai fini dell'assunzione
della veste di consumatore l'elemento significativo è lo scopo avuto di mira dal cliente nel momento in cui
conclude il contratto, con la conseguenza che la stessa persona fisica svolgente attività imprenditoriale o
professionale deve comunque considerarsi consumatore se ha provveduto a concludere un contratto per la
soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di dette attività professionali (cfr. Cass.
civ. n. 6578/2021).
Sul punto, addirittura, la stessa Corte di cassazione ha precisato che nemmeno l’inserimento, nelle
indicazioni delle proprie generalità, della partita IVA, può assumere rilievo decisivo al fine di escludere la
qualifica del cliente come consumatore finale.
Ciò considerato, pertanto, se l’acquisto è stato realmente eseguito per uso personale, è fatto salvo il diritto
al ripensamento con possibilità di recesso entro i 14 giorni successivi all’acquisto online.